La ricetta delle “sfrappole”, un dolce di carnevale, del bolognese…
È impossibile vivere i giorni di carnevale senza incontrare le sfrappole. Più inossidabili delle lenticchie a capodanno e più tradizionali del panettone natalizio esse ci riportano immancabilmente, con l’inevitabile pioggia di zucchero a velo sulla giacca, all’allegra goffaggine della fanciullezza. Noi le chiamiamo sfrappole (sia che abbiano il bordo dritto o frastagliato), in Toscana si chiamano cenci, in Friuli grostoli, nelle Marche frappe, in Campania chiacchiere, in Veneto galani e sono tra i dolci della tradizione carnevalesca probabilmente il più allegro ed il più atipico. I dolci di carnevale infatti hanno in comune la povertà degli ingredienti e la voglia di stupire, di prendere in giro chi li guarda: una sorta di rivincita sociale almeno a conclusione del pranzo. Tipici esempi di velleitario desiderio di trasgressione bolognese sono le tagliatelle fritte e poi zuccherate (semel in anno licet edulcorare) e i ravioli a sorpresa ripieni di mostarda. Le sfrappole non vogliono stupire nessuno e non rivendicano nulla: sono buone e tanto deve bastare.
La ricetta è semplicissima: farina, uova, zucchero e burro bene impastati ed aromatizzati con scorza di limone ed un cucchiaio di Sassolino (ammesse le varianti marsala, rhum, anice e grappa secondo le diverse abitudini familiari) si lavorano per una decina di minuti e poi si fanno riposare per una mezz’oretta. Con il mattarello si stende poi la sfoglia ottenuta e la si ritaglia a piacere: rettangolari le sfrappole moderne, a losanghe ripiegate su sé stesse quelle che accampano valenze storiche. Al momento di friggerle arriva però la contraddizione essenziale che mi obbliga ad una breve dissertazione storica sull’argomento.
Nell’autunno del ’44 mio padre stava risalendo l’Italia con la Quinta Armata quando, arrivato a Colle Val D’Elsa, ebbe l’avventura di liberare la mamma “dal giogo dell’oppressione nazista”. Di come andarono le cose tra quel sergente giallo di malaria e la signorina di Volterra sfollata dall’emergenza bellica non è il caso di approfondire su queste colonne. Sta di fatto che come Colombo ritornò dalle Americhe con cacao, pomodori e quant’altro, anche papà Vittorio tornò l’anno seguente a Bologna con due bottiglioni d’olio d’oliva, uno per mano. Una storia da diario minimo che rappresenta bene uno dei tanti percorsi attraverso cui la civiltà dello strutto incontrò quella dell’olio d’oliva. Una storia di colonizzazione gastronomica che portò nel breve volgere di una generazione all’annientamento dell’antica e rituale civiltà dello strutto che non solo dovette soccombere sul campo alla sua antagonista vegetale, ma che si ritrovò anche negli anni criticata, condannata e infine dimenticata. Al di là delle valenze nutrizionali e salutiste (con le quali non si può che convenire) sembra proprio che nei confronti delle nostre tradizioni emiliane sia in atto un’opera di revisionismo culinario che, attribuendoci abitudini epigastriche del tutto nuove, ci lascia orfani delle nostre radici sensoriali. Dimentichiamo quindi lo strutto e friggiamole in abbondante olio d’oliva, le nostre sfrappole, e poi cospargiamole di zucchero a velo mentre riposano su di un bel foglio di carta gialla assorbente. C’è chi suggerisce di berci assieme un vino passito e chi riesuma il Marsala o il Vermouttino. Sono invece dell’avviso di abbassare sia il corpo che la gradazione del vino per non dovermele sentire disgregare sulla lingua. Una Malvasia Dolce dei Colli Piacentini andrebbe bene e ancora meglio, sarebbe l’ideale, una di quelle Albana amabili e vivaci che le colline verso l’Adriatico sanno ancora dare.
Dosi per 10 persone.
Tempo Richiesto: 120 min.
Ingredienti
- Farina: 250 gr
- Uova: 1
- Succo d’arancia: 50 gr
- Liquore: 15 gr
- Zucchero A Velo: 8 gr
- Sale: 1 gr
- Strutto: q.b.
- Burro: 10 gr
Preparazione
Versate sulla spianatoia la farina, unite il burro morbido, l’uovo, il succo d’arancia, il liquore, lo zucchero a velo (Lo zucchero aggiunto all’impasto è utile per avere delle sfrappole ben dorate) e il pizzico di sale.
Impastate il tutto molto bene fino ad avere un composto omogeneo, morbido ed elastico. Fate riposare l’impasto qualche ora nel frigorifero. Infarinate bene la spianatoia e tirate la sfoglia con il mattarello molto sottile (potete usare anche la nonna papera).
Poi ricavate dalla sfoglia dei rettangoli larghi 5 cm e lunghi 12 cm e fategli tre tagli nel senso della lunghezza. Scaldate in un tegame capiente lo strutto (in alternativa l’olio di arachide) e friggetevi le sfrappole muovendole infilando un forchettone nei tagli (così prenderanno la classica forma accartocciata).
Scolatele con il ragno da cucina quando saranno ben dorate e fatele sgocciolare su carta assorbente. Servite le sfrappole cosparse con abbondante zucchero a velo.
Lascia un commento