Updated on Ottobre 8, 2021
Bologna, 14 novembre 2021, ore 10: Prigionieri di guerra. Visita al rifugio antiaereo nel parco di Villa Revedin (completamente ristrutturato e con stanze semi allestite come al tempo della seconda guerra mondiale, oggetti inclusi, tutti originali e ivi reperiti). 240 metri di percorso, indietro nel tempo…
Prigioneri di guerra. Il rifugio antiaereo di “Villa Revedin”, completamente recuperato e interamente visitabile…
Tra gli aspetti tormentosi della Grande Guerra vi fu l’offesa aerea alle città, quindi, alle popolazioni civili, straziando, tra l’altro, la fierezza dei monumenti che tanto parlano del passato di un luogo e di passate dominazioni.
I primi distruttivi attacchi aerei in svariate e importanti città del nord Italia, evidenziarono la totale impreparazione del paese al conflitto. Per questo, si costruirono, in tutta fretta, i rifugi antiaerei. Nel panorama dei rifugi antiaerei di Bologna, l’ex ricovero militare “Vittorio Putti” è l’unico ancora integro, ben mantenuto e visitabile in tutta la sua estensione.
Le prime incursioni aeree su Bologna iniziarono nel luglio del 1943, eseguite da bombardieri in formazione che sganciarono sulla città ordini di 250 kg. I risultati furono devastanti. Tra i molteplici rifugi, il ricovero di fortuna ricavato all’interno del canale Cavaticcio ebbe la sventura di essere colpito in pieno in due momenti diversi. Moltissimi i civili che furono annientati. Il numero delle vittime non fu mai accertato. Nel 1943 Bologna rappresentava il più importante nodo ferroviario italiano e, come è ovvio fu uno dei primi obiettivi. La sua distruzione divenne obiettivo strategico. Oltre allo scalo ferroviario, Bologna aveva un tessuto industriale di fabbriche ad alta tecnologia che era stato completamente riconvertito dai tedeschi ad uso militare. I risultati dei bombardamenti ivi destinati furono tragici. Migliaia e migliaia di morti e feriti, civili, con il solo scopo di danneggiare i tedeschi. Per questo, dopo un’iniziale inerzia si provvide a costruire difese di ogni genere, ma soprattutto, 25 ampi ricoveri in galleria. Furono utilizzate l’area collinare a sud della città, quelle a ridosso della cinta muraria di viale Carducci e viale Berti Pichat, inoltre, all’interno della terza cinta di mura, in corrispondenza di particolari aree rialzate, come la Montagnola, oppure, i giardini di via del Guasto.
La presenza del rifugio era segnalata con una freccia contenente l’indirizzo dello stabile, sistemata in posizione elevata. I ricoveri dovevano essere dotati di una o più uscite di sicurezza nel caso quello principale fosse rimasto ostruito dalle macerie. La ventilazione era assicurata da appositi condotti. In caso di incendi, si provvide a costruire delle cisterne temporanee, ad aprire e segnalare pozzi e, soprattutto, a predisporre una capillare rete di idranti.
Dall’ottobre del 1943, i lavori di costruzione di ricoveri pubblici furono notevolmente accelerati. Fuori porta, anche i rilievi degli enormi parchi furono utilizzati per costruire capienti e sicuri ripari. Si utilizzò pure il corso sotterraneo del torrente Aposa, sfruttando le ampie volte di copertura che superavano i dislivelli collinari nel tratto tra l’odierna via Codivilla e la chiesa della Santissima Annunziata, adattandolo a rifugio per il personale delle Officine Rizzoli e per i militari del 6° Reggimento Auteri.
Il 27 marzo del 1941 ebbe inizio l’attività del Centro Ortopedico e Mutilati “Vittorio Putti”, quale reparto specializzato di chirurgia degli organi di movimento dell’Ospedale Militare di Bologna.
Era situato in un vasto e meraviglioso fabbricato situato in una ridente collina che sovrasta la città; in una ubicazione panoramica e di serenità riposante quale quella che ci offre il nuovo Seminario Arcivescovile, nel cui vasto fabbricato si svolgeva l’opera assistenziale e chirurgica (chirurgia degli organi in movimento) a favore dei feriti di guerra.
Risale al 9 marzo 1943 la richiesta inviata dall’Ufficio Lavori Genio Militare di Bologna, all’attenzione del Cardinale Nasalli Rocca, di poter utilizzare la grotta di Villa Revedin come ricovero per l’Ospedale Militare Territoriale, Sezione Seminario Centro Mutilati Putti, nella località San Michele in Bosco, per l’assoluta necessità di voler mettere al riparo le centinaia di infermi ricoverati nell’ospedale.
All’interno del rifugio antiaereo, si costruirono anche due importantissimi vani: un’infermeria e una sala operatoria d’emergenza, dove è ipotizzabile abbia operato anche l’instancabile dott. Scaglietti, Direttore Sanitario dell’Ospedale, una persona di una immensa umanità, che si occupava dei rifugiati necessitanti di cure, di una medicazione, di una sutura, oppure, addirittura, di un’amputazione. Il tutto in un trambusto di grida, di pianti, di voci di speranza per un nuovo sole che, forse, non sarebbe mai arrivato. Alle pareti erano fissate decine e decine di lettighe, al bisogno sganciabili e utilizzabili come barella.
L’illuminazione (anche se erano stati montati tre sistemi di illuminazione, separati, ma che non funzionavano mai contemporaneamente), come in qualsiasi struttura “ipogea” era scarsa e non efficace per la sopravvivenza in quel luogo, per ore e ore, o anche per giorni.
Durante il periodo bellico il seminario e Villa Revedin furono colpiti dai bombardamenti e divennero rifugio per molti sfollati dalla città e dall’Appennino. Ci sono tre ingressi al rifugio (uno principale e due secondari). Entrando, il rifugio si divide in due rami, uno dei quali va verso la Grotta, che è la parte più antica di queste gallerie. Erano stati costruiti muri “anti soffio”, atti a contenere lo spostamento d’aria che avrebbe provocato la caduta di una bomba nelle immediate vicinanze. Le tipologie dei rifugi erano di due categorie: anti crollo (costruiti sotto le case) e anti bomba (rifugi in galleria, assolutamente più sicuri e resistenti, anche al cosiddetto “colpo in pieno”). Il rifugio è completamente in mattoni (laterizio), costruiti a volta. Sul soffitto c’erano due vie di fuga e aerazione, verticali. Ci sono due bracci, uno dei quali contiene infermeria e sala operatoria, prima menzionati, che sono stati riallestiti. La parte finale del rifugio, contiene l’antica grotta di arenaria. Un luogo frequentato ben prima degli anni della guerra, poiché alcune incisioni ci parlano di epoche lontane. C’è una misteriosa grotta, infine, con lastre di arenaria conficcate nell’intera volta, di cui non si conosce l’origine. Poteva essere un’antica Conserva, oppure, una grotta settecentesca, costruita secondo la moda del tempo, in cui lo spazio e la natura dovevano esprimersi al massimo.
All’interno della grotta sussiste la nicchia votiva dello stesso rifugio, che contiene una riproduzione della Beata Vergine di San Luca e che recita una giaculatoria, voluta dal Cardinale Nasalli Rocca, da recitare durante i bombardamenti e parlava di trecento giorni di indulgenza, voluti perché si sapeva quando si entrava in un rifugio antiaereo, ma non si sapeva se ne sarebbe mai usciti sulle proprie gambe.
Dopo il 1945 molte gallerie cittadine vennero adattate ad altri scopi, oppure chiuse o del tutto abbandonate; alcune, furono vendute a privati o cedute come indennizzo per i danni ricevuti durante gli scavi su terreni privati, altre, infine, divennero garage, altre ancora fungaie, officine, negozi, oppure, nel caso dei ricoveri più lontani dalla città, luoghi di prostituzione o di amori illeciti.
È stata ritrovata sul tetto di un edificio nell’area Staveco, una sirena risalente ai tempi del conflitto. La stessa segnalava i bombardamenti su Bologna. Restaurata, si può visitare nel rifugio Putti. Quel suono freddo, agghiacciante e continuo metteva i brividi. Indicava che bisognava correre al sicuro, scappare velocemente, perché la morte stava piombando dal cielo. Dalle bombe sputate fuori dalla pancia degli aerei.
Le gallerie del Revedin, invece, si trasformarono in deposito edile, destinazione che mantennero assai a lungo, fino al 2013, quando l’Associazione Amici delle Vie d’Acqua, che lo gestisce, prese i primi contatti con la Direzione del Seminario Arcivescovile per salvare questo grande patrimonio storico, sopravvissuto a molte vicissitudini. Con grande soddisfazione, dopo quattro anni di lavori, il rifugio “Vittorio Putti” è tornato a vivere. Nel panorama dei rifugi bolognesi il Putti è l’unico completamente recuperato e interamente visitabile.
Oggi, gli accessi fruibili sono due: quello della grotta e quello centrale. Il terzo ingresso, più vicino al Seminario, venne trasformato in grotta votiva, negli anni ’50. Uno spettacolo per gli occhi, il cuore, la mente. Un pezzo di storia indimenticabile.
L’evento, che si terrà domenica, 14 novembre 2021 (con punto di ritrovo in piazza Bacchelli n. 2), partirà alle 10, con guida turistica certificata dalla Regione Emilia Romagna e si concluderà alle 11:10.
Costo della sola visita guidata (con accoglienza + guida turistica + radio guide sanificate): € 22,00.
Sconto di € 2,00 per gli over 60 e i ragazzi.
Consigliate, scarpe comode e un pullover.
IL TOUR È A NUMERO CHIUSO.
I partecipanti saranno obbligati a partecipare muniti di apposita mascherina.
Raccomandiamo il rispetto della distanza sociale di 1 metro.
Per partecipare alla visita guidata, è obbligatorio prenotarsi, spedendo un SMS/Whatsapp, al numero +39 3897995877, oppure, mandando un messaggio alla pagina di Facebook “I love Emilia Romagna” (indicate il nome e cognome di ogni partecipante, numero di telefono e almeno un indirizzo email).
La quota di partecipazione, per questioni di esclusività del tour, con ingressi a tappe, prenotati e remunerati in anticipo, sarà da saldare in anticipo, tramite carta di credito, oppure, bonifico bancario.
In caso di maltempo, la visita guidata si terrà ugualmente.
Durante l’evento, verranno scattate fotografie, che successivamente, saranno pubblicate sulla pagina di Facebook.
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